Article on TEXTURE.VITRA  [ONLY ITALIAN]

Luigi Turra feat. Tadao Ando
Texture.Vitra

Architettura come spazio compositivo e formato tanto originale quanto essenziale per il progetto del giovane sound-artist Luigi Turra, quasi a voler contenere o trattenere, nella leggerezza delle raffinate linee dell’imballaggio, la materia composta al suo interno. Texture.Vitra(1) si costruisce su di un’unica traccia e poco meno di una ventina di minuti di rarefazioni sottili e pulviscoli sonori, registrati lo scorso anno a Weil-am-Rheim, dove la “condizione del luogo” crea la strumentazione necessaria e adatta per comporre.
Così, nuovamente, l’architettura diventa oggetto di applicazioni trovando nella composizione o nella sua azione ciò che la rende affine alla musica e alla sua astrazione. E tuttavia, nell’opera di Luigi Turra non è tanto il processo logico che viene restituito attraverso i veli elettroacustici quanto l’esperito, risultato di un luogo e di uno spazio, quello del Padiglione Vitra, progettato da Tadao Ando, ricercato e ascoltato.
Il progetto a Weil-am-Rheim si compone di tre figure poste nella loro semplicità. Poco più in là un’opera di Claes Oldenburg diventa il diaframma tra l’edificio di Ando e quello progettato da Frank O. Gehry. Nel Padiglione, un primo blocco rettangolare è accostato ad un secondo, ruotato rispetto all’ortogonale. Entrambi terminano nel giardino “murato” da pareti che ricostruiscono un quadrato, seminterrato in cui i volumi si ritrovano ad essere collegati da un muro semicircolare. Sembrerebbe quasi asettica questa architettura che invece è percorribile, utilizza scale per far sì che le persone possano esperire lo spazio, acquisendo la consapevolezza dell’edificio. Così come è visibile, attraverso la luce che si ritrova all’interno passando per pareti di vetro o interstizi. Nel camminare, la luce sovverte l’ordine collaudato dall’architetto. Quasi d’improvviso, come le rapide interferenze utilizzate da Turra a suggestionare i silenzi. Flebili. È architettura tattile questa di Tadao Ando. Fatta di calcestruzzo armato a vista e di listelli di legno per la pavimentazione. È tattile nel momento in cui una pietra grezza viene fatta scorrere dal compositore vicentino sulla superficie progettata. Per un attimo sembrerebbe che all’architettura sia stata tolta la stampella del Funzionalismo.
È probabile che gli elementi di questo progetto, posti in una determinata coerenza tra loro generino, a chi guarda, un’idea di ordine. Un ordine tuttavia non asettico, non lontano, ma fatto di esperienza. Sostiene Ando che affinché la geometria possa risvegliare le nostre emozioni “necessita di quel tipo di dinamismo che può distruggere la coerenza logica”(2). Così tutto diventa molto chiaro nel momento in cui si tratta di cose sensibili, ricreate da un assetto strettamente geometrico servendosi di tre elementi che passano attraverso l’ordine, la gente e il potere emotivo.
Ragionare sullo spazio. Tadao Ando rimase particolarmente colpito nell’esperire lo spazio del Pantheon così come dell’alienazione che aveva dovuto provare Gian Battista Piranesi nell’incidere le sue Carceri d’Invenzione. A sua volta, riflettendo sullo spazio progettato dall’architetto giapponese, Luigi Turra persegue una privazione sonora ai limiti dello stato fisico, dove la muratura diventa il confine di un territorio a cui negare il caotico mondo esterno, dove le sorgenti sonore si scontrano, si sdoppiano, rimbombano, si fondono e scompaiono delineando chiaramente i limiti spaziali di un silenzio simbolicamente lacerato dal breve trascinarsi di una pietra. Quasi come se questa architettura racchiudesse se stessa, diventando – spazio archetipico – cella.
Sarebbe riduttivo dire che il territorio comune del lavoro di Luigi Turra e Tadao Ando sia marcato dalla sola linea del minimalismo. Ché di minimalismi ce ne sono tanti, condotti in laboratorio o en plain air. Forse è invece il desiderio di “restituire significato al gesto originario e elementare del posare, disporre, rilevare, sporgere, accumulare, dividere” (3).
Texture.Vitra è una centellinata scelta di assenza come ricerca del suono del silenzio, dove l’ambiente ed il contesto diventano un amplificatore naturale in cui ronzii, impurità sonore e rumori sussurrati ne compongono l’assetto strumentale d’eccellenza.
Rigorosa astrazione nella continua ricerca di un universo sonoro.
Articolo di Sara Bracco e Emanuela Giudice per AntiThesi
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